Filtri narrativi #3

Questa mattina un bel sole ha svegliato Firenze. Io sono balzato in piedi presto, ho buttato giù la colazione mentre mi vestivo e ho raggiunto di buon passo gli Uffizi. Temevo di trovare, nonostante l’orario, una lunga coda di turisti in attesa di visitare uno dei più famosi musei italiani. Non è andata così, per fortuna: in coda eravamo una manciata. Siamo entrati non appena la galleria ha aperto i battenti. Grazie al mio fare sbrigativo ho lasciato subito indietro i gruppi organizzati, andando alla scoperta degli Uffizi in completa solitudine.

Botticelli, a sorpresa, non mi ha rapito. La Venere e la Primavera sono forse troppo famose, troppo note, troppo riprodotte. Non sono riuscite a catturarmi, nonostante la loro indubbia bellezza. Mi sono invece fermato a lungo di fronte alle seguenti opere. La prima: La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Questa non è la parte del trittico che adornava il salotto di mia nonna (la copia che lei possedeva riproduceva la porzione oggi esposta alla National Gallery di Londra), per cui ho tentato di unire le tavole con la mente, cercando punti in comune, particolari simili, sfumature condivise. Nelle sale successive mi ha catturato Leonardo, ancora, con l’Annunciazione (i dettagli, i dettagli minuti). Più in là, non molto in vista, La liberazione di Andromeda di Piero di Cosimo mi ha letteralmente stregato. Forse il merito è del soggetto (un mito che adoro), o dell’azione che vi è ritratta (che stacca, finalmente, dalla lunghissima serie di ritratti che lo circondano) o delle stranezze che vi sono ritratte (la fiera mostruosa, gli strumenti musicali impossibili, l’ambientazione esotica!). Un’opera che non conoscevo; un’opera che entra di diritto fra le mie preferite di sempre.

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Alle undici spaccate sono tornato per la terza volta all’Accademia di Belle Arti. Mi sono chiesto cosa si provi a studiare affresco o pittura nella scuola d’arte di una città che contiene, a così pochi passi di distanza, così tanta arte. Questo, forse, lo dovrei chiedere ai partecipanti del workshop che, diligenti, hanno riempito la piccola sala a disposizione anche oggi. Alcuni studiano pittura, altri decorazione, altri ancora si sono accorti che la strada normalmente intrapresa non è la loro e hanno deviato verso la grafica e altri settori più “contemporanei”. Chissà dove saranno fra qualche anno: alcuni torneranno in Cina, altri continueranno a dipingere in Italia, altri ancora studieranno oreficeria. Auguro loro di trovare una strada che li soddisfi.

Oggi i loro personaggi hanno popolato l’aula. Partiti da tre nuovi oggetti, hanno descritto gatti vanitosi, hanno tratteggiato tizi strambi che, ossessionati dal loro volto, continuano a farne calchi di gesso, hanno immaginato anziane donne sedute alla finestra e giovani che sognano di volare ma hanno le vertigini. Siamo finalmente riusciti a trovare alcune passioni comuni: i supereroi (conosciuti a menadito anche dai ragazzi nati in Cina), Star Wars ed Harry Potter. Sono grandi narrazioni, capaci di abbattere ogni genere di barriera e di arrivare praticamente ovunque. Mi domando, tuttavia, come mai io non conosca nemmeno un personaggio delle storie cinesi, o come mai io non abbia mai letto almeno uno dei quattro libri classici (in alcune liste sono cinque) che in quel paese, a scuola, bisogna assolutamente studiare.

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Chiudo con una breve considerazione sul mondo editoriale e delle lettere. Io mi rendo conto di appartenere a una cerchia di persone che, possedendo gli stessi interessi, è informata sulle possibili strade da intraprendere per addentrarsi nel “magico mondo” dei libri, ma spesso mi chiedo perché persone a cui piacerebbe esplorare lettura, scrittura ed editoria non sappiano che esistono realtà ben specifiche che permettono tale esplorazione. Forse ci dovremmo fare qualche domanda. Ma “noi” chi? Scrittori? Editori? Insegnanti? Riviste? Quotidiani? Mezzi di informazione? Politici? Chi?

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