Nelle librerie americane è arrivato il nuovo libro di Jonathan Franzen. È una raccolta di saggi – la quarta della sua carriera – e al tempo stesso un libro-diario, contenente sedici capitoli che riassumono ben cinque anni di osservazioni ed esperienze vissute in giro per il mondo. Il titolo è eloquente: The End of the End of the Earth (lo ha pubblicato Farrar, Straus and Giroux).
Questa, invece, è la copertina (molto bella, non trovate?).
Il saggio centrale del libro riguarda un viaggio che ha portato l’autore del capolavoro Le Correzioni (in Italia per Einaudi) fino in Antartide. Il testo, come d’altronde il titolo suggerisce, riguarda la crisi ecologica del pianeta, la fine di cui si parla un po’ ovunque, dai summit internazionali alle narrazioni distopiche, ma alla quale non si tenta di trovare una soluzione. Si sa che Franzen è un asso nel toccare nervi scoperti e nel generare polemiche tanto quanto è bravo nel birdwatching, quindi aspettiamoci un libro tagliente, a tratti insopportabile (non me ne vogliano i suoi ammiratori più talebani, ma in fatto di spocchia Franzen è davvero insuperabile) e che molti giudicheranno inutile e fastidiosamente provocatorio.
Il pezzo che Matteo Persivale ha scritto su La Lettura del 4 dicembre fuga i dubbi sul libro e mette in chiaro l’obiettivo dell’autore.
Perché la domanda, semplice e terribile, è questa: che senso ha l’impegno sociale, politico, che senso ha la letteratura in un mondo che sta per finire, con le temperature globali destinate a crescere entro la fine del secolo non di due gradi (che già rappresenterebbero un disastro) ma di sei o, come una scienziata confida a Franzen privatamente, forse ancora di più? Un mondo futuro invivibile, alla Ballard, con gli uccelli così amati da Franzen – il birdwatching è il suo hobby e la sua ossessione e l’argomento più discusso nel libro – testimoni del disastro imminente.
Un paio di recensioni pubblicate da testate estere dovrebbero aiutarvi a capire se: 1) lo eviterete come la peste o 2) dovete segnare il titolo fin da ora sul vostro calendario uscite e attendere l’edizione italiana con trepidazione.
Sul Guardian.
Sul New York Times.
Io lo leggerò di sicuro. E voi?