“Arkivet”, il metal antropocenico dei Wormwood

Black metal e antropocene

Eccolo qui il primo tema della nuova Linea. Ogni settimana prenderò in esame un oggetto diverso: un libro, un’opera artistica, un movimento, un film, un concetto… Partiamo con un album musicale. Un album black metal per la precisione. I motivi per cui ho fatto questa scelta sono tre: 1) si tratta di album che potremmo definire antropocenico, per via dei temi che tratta; 2) io adoro la musica metal, quindi non aspettavo altro che portarla sulla Linea; 3) si parla poco di come la musica, anche quella estrema, sta raccontando temi come la crisi ecologica, la sesta estinzione di massa e tutto ciò che oggi rientra nell’etichetta Antropocene.

I Wormwood sono una band black metal svedese, formatasi nel 2014. Il loro ultimo album, uscito circa un mese fa, si intitola Arkivet, che in svedese significa “archivio”. Si tratta di un tema chiave dell’album ma anche del discorso antropocenico tutto (su questo punto consiglio almeno di leggere Gli immortali, libro di Antonio Giuliani, pubblicato da il Saggiatore).

La copertina del terzo album dei Wormwood: Arkivet.

Arkivet è il loro terzo album in studio (l’etichetta è la Black Lodge Records). Ma che musica fanno questi truci svedesi? Alcuni lo definiscono melodic black metal, quindi un black metal un pochino meno furioso del solito, con riff melodici e aperture che richiamano il folk e il prog. La voce, e qui non spaventatevi subito, è uno scream, ma abbastanza roco e per nulla straziante (in alcune sezioni ci sono voci pulite). Le canzoni sono piuttosto lunghe, articolate e molto varie; in alcuni passaggi è impossibile non andare con la mente ai Pink Floyd (esatto, proprio loro). I testi, e qui entra in gioco il tema antropocene, parlano di crisi ecologica, di un mondo ormai degradato e delle colpe umane.

Earth was our only vessel // Our final message sent into the black unknown

Earth was our only vessel // Our final message like dust turned into stone

Perché è un’opera importante?

I motivi sono diversi, per cui vado per punti.

1) Come ho già detto, è difficile trovare oggi in ambito culturale degli approfondimenti sul modo in cui determinati generi musicali stanno raccontando la crisi ecologica in atto. Il metal è storicamente un genere che si nutre di temi ostici o poco trattati, fra cui i disastri e le malefatte dell’uomo. Se fino agli anni ’80 i gruppi metal parlavano spesso di guerre atomiche e inverni nucleari, oggi alcune band hanno fatto loro il tema ecologico e antropocenico, parlando di estinzioni, inquinamento e cambiamento climatico nei testi delle loro canzoni. Credo sia quindi importante notare che sta succedendo questa cosa qui, in barba a chi ama definire il metal un genere musicale statico e che non sa reinventarsi.

2) Il video musicale realizzato per la traccia che apre l’album, intitolata The Archive (piuttosto lungo, dato che il pezzo tocca i sette minuti), è un ottimo esempio di commistione fra generi e media. In un’atmosfera che ricorda molto serie TV come The Walking Dead e Dark, una famiglia si trova a fronteggiare un collasso improvviso della società. Attentati, una non meglio specificata epidemia e alcune rivolte mettono a soqquadro la Svezia. La scena si apre con un messaggio d’allerta veicolato dalla radio. La situazione porta i protagonisti a rifugiarsi nelle campagne, e poi fra i boschi selvaggi. Lì dovranno fuggire dalle bande criminali che ormai scorrazzano indisturbate per il Paese. Si ritroveranno nelle profondità dei boschi, dove la storia si conclude (forse) in modo drammatico per tutti. Come comunicato alla fine del video, il concept è ripreso da un racconto dello scrittore Mikael Strömberg Författare, che è presente in doppia lingua all’interno dell’edizione in vinile di “Arkivet”. Quando oggi si parla di letteratura dell’antropocene e di nuovi modi di intendere la forma libro, potrebbe essere interessante notare che in altri campi, come quello musicale, hanno luogo connessioni potenti fra le diverse arti, fuse magistralmente dalla magia della musica.

Il video della traccia di apertura dell’album: The Archive.

3) Al termine del video descritto, che potete vedere qui sopra, la ragazza stringe fra le mani un libro. E qui si disvela quello che ritengo essere l’aspetto più intrigante di tutto il lavoro della band. L’intero album dei Wormwood, a partire dal titolo, è infatti una riflessione sull’archivio, su ciò che resterà di noi e su ciò che le generazioni future, costrette a vivere in un mondo diverso da questo, sapranno di noi, uomini del presente, uomini antropocenici, dopo la nostra fine. La tipica impostazione decadente e nichilista (un tratto che è diventato, nel corso dei decenni, un tema che abbraccia l’intera musica metal a livello tematico, soprattutto le compagini scandinave) è contrapposta a una riflessione sul dopo, sul futuro, sulla vita in un mondo danneggiato. Riflessioni di questo tipo non sono estranee ad alcuni libri pubblicati di recente in Italia, fra cui quelli dell’antropologo Matteo Meschiari, che vi consiglio e di cui torneremo a parlare fra pochissimo qui sul sito della Linea.

4) I testi della band, tutti in inglese tranne uno (potete leggerli qui), sono molto poetici e intensi. Arkivet non è un concept album, ma ogni traccia in realtà si rivela essere parte di un tutto, di una storia. È come se la band avesse voluto ragionare sull’umanità e sui problemi del mondo di oggi immaginando un futuro mondo in crisi, abitato da esseri umani in difficoltà. L’archivio, la memoria, il ricordo e la scomparsa sono i temi fondamentali dell’album.

We poisoned the well a millennia ago // And forced everyone to drink

Now let us drown // Breath in and forget

The fault that which is us // We are the ghosts of the past

Remembered by the few who last

5) Nella sezione centrale dell’ultima traccia, lunghissima (oltre nove minuti), intitolata The Gentle Touch of Humanity, si possono anche ascoltare alcune registrazioni tratte da conferenze e interventi di diverse persone influenti a proposito del disastroso stato in cui versa il nostro pianeta. Si tratta di un momento di sospensione, come se la band ci volesse far soffermare su questo punto: se sappiamo tutto, se conosciamo molto bene quello che sta accadendo, perché non stiamo facendo niente? L’immobilismo di fronte alla catastrofe climatica è forse l’ultimo spunto di riflessione che questo album propone. Pare proprio che lo spaesamento che permea i testi di tutto l’album nell’ultima traccia assuma finalmente un senso: siamo spaesati di fronte a ciò che stiamo facendo e al fatto che non agiamo pur sapendo benissimo che cosa questo può comportare.

Il video della traccia di chiusura: The Gentle Touch of Humanity.

Vi lascio alcuni link:

Il sito della band: Wormwood.

Qui potete leggere una recensione in italiano: Metalhead.it.

L’album è disponibile in streaming su Spotify.

La fotografia di copertina del pezzo è una foto della band, tratta dall’account Twitter della band.

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