Camminare alberi

Adoro i libri del critico americano James Wood. Parlano spesso del dettaglio, e di come esso sia importante, per lo scrittore come per il lettore. Wood possiede la capacità di raccontare cosa vede quando legge un testo, quali aspetti nota maggiormente, di quali immagini conserva il ricordo. Come scrive lui stesso a proposito della sua idea di critica letteraria: «è un modo di scrivere non solo di libri ma attraverso i libri».

Qualche giorno fa ho letto il breve articolo intitolato Osservazione scrupolosa, contenuto in La cosa più vicina alla vita (Mondadori, 2015). Wood torna sul dettaglio e sul doppio lavoro che un testo letterario richiede: quello dell’autore e quello del lettore. Il primo è un compito che ha un fine ultimo molto chiaro: «ridare significato, colore e vita alle cose più ordinarie». Per fare questo serve attenzione, come dice un grande studioso dello sguardo come John Berger: la gente comune si limita a vedere mentre gli artisti osservano. Il secondo, il compito del lettore, è di prendere quanto uno scrittore (o un artista) ci regala e completarlo: coglierne i dettagli più minuti ed espanderli, completare la storia, unire i puntini, lavorare con l’immaginazione su metafore e figure retoriche. Si tratta di un gran lavoro ed è per questo che non esiste scrittura senza lettura, perché sono due facce della stessa medaglia.

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Piet Mondrian – L’albero argentato

Wood continua sottolineando che molti scrittori hanno descritto non tanto gli alberi ma l’atto dell’osservare gli alberi. Così come la scrittura, anche la fine arte dell’osservatore va insegnata. Bisogna, per così dire, diventare strabici: guardare il mondo e guardare come gli altri guardano il mondo. Wood cita quindi alcuni passaggi tratti da opere famose: Guerra e Pace di Tolstoj, La nausea di Sartre e La mia lotta di Knausgard. In tutti quanti il soggetto protagonista della scena guarda l’albero: il principe Andrej riflette sul tempo, il filosofo sostiene di essere egli stesso il castagno che ha di fronte, l’autore scandinavo sente le voci e la presenza arborea in boschi e giardini.

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Vincent Van Gogh – L’albero di gelso

C’è un altro modo di cogliere l’albero: tentare di camminarlo, con l’obiettivo di dire qualcosa attraverso esso. Ci ha provato Matteo Meschiari – antropologo, camminatore e scrittore – in un piccolo libro dalle aspirazioni cosmiche, che contiene innumerevoli spunti di riflessione. Si intola Geoanarchia (qui), lo ha pubblicato Armillaria Edizioni, editore che realizza dei piccoli gioielli dalle copertine color mattone. Il libro è meravigliosamente illustrato da Claudia Losi (qui il suo sito). Se foste curiosi di leggerne un estratto, ne trovate uno su Minima & Moralia, a questo indirizzo.

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La copertina di Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica; edito da Armillaria Edizioni. Caldamente consigliato!

Scrive Meschiari nel capitolo intitolato Camminare alberi:

L’albero è figura del cosmo: non modello della sua intelligibilità ma della sua abitabilità. […] L’albero apre uno spazio inedito. Uno spazio camminabile. […] Vorrei camminare alberi come Cèzanne dipingeva rami: l’aria era così densa da fasciarli e loro erano nervature per tenerla. I loro contorni erano multipli e incompiuti, il tratto era un taglio trasversale nel diaframma tra pieno e vuoto: linee camminate, variazioni di densità del paesaggio.

Ci dirigiamo verso periodi difficili, scrive Meschiari, e per far fronte ai problemi del domani serviranno soluzioni politiche e, sopratutto, poetiche. Camminare alberi è uno dei tanti esempi, o esercizi, che l’autore espone per indurci a cambiare prospettiva. Il nostro tempo ci chiede di ri-partire dalla terra, e potremo farlo quando riusciremo a comprendere che, come Meschiari ha spiegato in una bella intervista su Zest (qui), «l’uomo dell’Era Glaciale non si è salvato grazie alla tecnologia che ha saputo sviluppare, ma dipingendo bisonti sulle pareti di una grotta. Non si è salvato mangiando quel bisonte, ma raccontandolo». Per questo è fondamentale tornare alle immagini, all’arte come tecnica di sopravvivenza ambientale, al “come se” narrativo.

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Paul Cézanne – Il grande pino

Dalle analisi letterarie di James Wood alle riflessioni di Matteo Meschiari, dall’albero in letteratura ai dipinti di Cézanne, Van Gogh e Mondrian. Dovremmo guardare gli alberi più spesso, tentando di camminarli e di ascolare la loro voce. Concludo questa breve panoramica riportando qui sotto un racconto di Franz Kafka, Gli alberi: telegrafico ma vibrante, carico d’angoscia ma luminoso, freddo e al tempo stesso vegetale.

Perché siamo come tronchi nella neve. Apparentemente vi sono appoggiati, lisci, sopra, e con una minima scossa si dovrebbe poterli spingere da una parte. No, non si può, perché sono legati solidamente al terrreno. Ma guarda, anche questa è soltanto un’apparenza.

E ricordate che, come scrive Antonia S. Byatt in Ragnarök (Einaudi, 2013): «In principio era l’albero». Yggdrasil lo chiamano (song).

2 pensieri riguardo “Camminare alberi

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