Corrispondenze #1: Andrea Appetito

Oggi inauguro una nuova rubrica. Si chiama Corrispondenze. L’obiettivo è uno soltanto: riportare qui, su La Linea Laterale, una serie di chiacchierate che ho fatto con alcuni scrittori (e non) via e-mail. Non si parlerà strettamente di letteratura e di editoria, perché ciò che mi interessa maggiormente è la visione del mondo di uno scrittore: come legge la realtà, come la vive, come la commenta e perché ne scrive.

Il mio primo interlocutore è Andrea Appetito, classe ’71, autore del romanzo Tomàs (Effigie Edizioni; qui trovate sia il libro che una biografia più dettagliata).

 


 

Caro Andrea,

bentrovato. Bentrovato, Danilo. Finalmente sono riuscito a scovare qualche briciola di tempo da dedicare alla nostra conversazione. Ti aspettavo. Come già ti dissi qualche tempo fa, vorrei provare a dialogare con alcuni autori via e-mail (tu sei il primo; che responsabilità!), parlando di tutto un po’. Dunque, eccomi qui.

Qualche giorno fa stavo leggendo un saggio di un critico americano di nome James Wood. I suoi testi sono molto interessanti, ti permettono di entrare nei libri più a fondo. Nel saggio Osservazione scrupolosa (qui) Wood parla, ancora una volta, dell’importanza dei dettagli in letteratura e dell’attenzione che i grandi scrittori hanno nei confronti delle minuzie che in realtà minuzie non sono. Cita anche il grande John Berger: “la gente comune si limita a vedere mentre gli artisti osservano”, per poi sottolineare che il compito dello scrittore è “ridare significato, colore e vita alle cose più ordinarie”. Sono d’accordo con lui. Tuttavia, nel saggio successivo, Usare tutto, spiega quanto secondo lui sia importante anche il lavoro del lettore. Dice: “l’atto del lettore è anche un atto autoriale“. Mentre leggevo ho pensato al tuo romanzo e a quando lo abbiamo presentato da Babelica. Il tuo libro è sia un gran bel lavoro di osservazione scrupolosa (è ricco di dettagli e ha una costruzione pregevole) sia un testo che stimola il lavoro del lettore. Io trovo che questo sia un grandissimo valore, perché reputo la capacità umana di completare, immaginare, unire i puntini e ricostruire una storia la più straordinaria delle facoltà. Uno scrittore che è in grado di far lavorare bene un lettore è un ottimo scrittore. Mi pare che tu sia molto attento a questo aspetto, vero? Secondo te, perché? Ti lascia qualcosa di particolare lavorare in questa direzione? In fondo anche Wood lo rimarca nel primo saggio che ti ho citato, parlando di Cechov: “la storia che raccontiamo nella nostra testa è la più importante, perché siamo espansionisti interiori, sognatori cosmici”. Espansionisti interiori mi piace moltissimo. Altrimenti la carta di un libro non sarebbe che semplice carta.

polaroid 18
Tarkovskij ha scattato la maggior parte delle foto mentre era impegnato a girare il film Nostalghia (1983), che racconta di un poeta sovietico che si trova in Italia per studiare la vita di un compositore russo. In totale ne ha scattate 257.

Amo molto le polaroid di Tarkovskij. C’è quasi sempre la nebbia che appare o scompare. C’è sempre una rivelazione. In questa polaroid si vede un cane. Sembra la fotografia di un album di famiglia, ma questa istantanea è l’immagine per me più prossima a quella cosa che chiamiamo anima. Ho pensato alle polaroid di Tarkovskij quando ho letto le tue parole sull’importanza di quello che chiamiamo “ordinario”.

Leggere e scrivere la realtà, le molte realtà, è un esercizio che espande l’interiorità. Mi sembrano bellissime le parole di Checov che hai citato. Non le conoscevo. Ti ringrazio. Essere espansionisti interiori, sognatori cosmici. Creare spazi che prima non esistevano e viaggiare. Creare spazi e non solo per sé. Ma per tutti e tutte. La letteratura è sempre un atto d’amore. È destinata a qualcuno o qualcuna che leggerà. L’arte di scrivere e l’arte di leggere ci permettono di osservare ciò che altrimenti vedremmo confusamente. Sono arti della “messa a fuoco”. Grazie alle tue parole, ho cominciato a mettere a fuoco cose nuove e cose vecchie. C’è una cosa che mi emoziona da sempre ogni volta che penso a Cechov. Ricordo di aver letto che prima di morire disse in tedesco: Io muoio, Ich sterbe. Non disse “Io muoio” nella sua lingua madre… Ecco, queste sue parole prima di morire in un’altra lingua sono per me un mistero. Il mistero dovrebbe essere la terra di ogni scrittrice, di ogni scrittore. La sua Heimat (per chi non sapesse il significato: qui). La cassa di risonanza di ciò che siamo, la terra a cui tornare e da cui ripartire. Una terra senza confini, nella quale siamo inermi. Credo che sia nociva la pretesa di spiegare tutto. Di dire tutto. Di armare lo spazio e saturarlo. Di chiudere ogni spiraglio. Tra chi scrive e chi legge dovrebbe potersi creare complicità, una sorta di corrispondenza. Cospirazione o eros. C’è un altro ricordo che le tue parole hanno fatto riemergere: Epicuro diceva che gli “dèi” abitano negli interstizi tra un mondo e l’altro. Ecco, forse è per questo che è necessario lasciare spazi… Nella polaroid di Tarkovskij c’è un’assenza così presente. Il lavoro di una scrittrice, di uno scrittore, assomiglia per me al lavoro di un pittore di icone. È anonimo, al servizio di una storia, costruisce un mondo lasciando al centro uno spazio accogliente per l’ospite. Cioè per il lettore, la lettrice. E dove è l’ospite lì c’è il “sacro”. Se al centro c’è l’autore, se l’autore è il protagonista della storia, diventa molto difficile l’incontro.

Qualche giorno fa ho assistito a una conferenza del Nobel Svetlana Aleksievic. Trovo i suoi lavori fantastici (ne ho scritto qui). Accanto a lei c’era Goffredo Fofi, il quale ha sottolineato l’importanza dei libri della giornalista bielorussa perché non sono libri consolatori. Ha aggiunto che secondo lui molto di ciò che viene pubblicato oggi è mero intrattenimento senza valore letterario (io non adoro questa categorizzazione, perché mi sa di snobismo ed esclude tantissimi autori che leggo con grande piacere e che scrivono da dio) oppure è consolatorio. La vera letteratura invece deve inquietare, deve essere il regno della domanda (come dice Javier Cercas) e deve presentare problemi, per “aprire l’intelligenza e la sensibilità a nuove prospettive del reale” (come scriveva Julio Cortázar). Credo che questo, invece, sia vero, e lo condivido. Non che ci siano una letteratura vera e una falsa, ma che esista una porzione di scrittori che scrive affinché i lettori abbiano a che fare con domande “pesanti”, quelle che possiamo chiamare morali. Ci sono alcuni temi che mi stanno a cuore: l’ambiente, gli animali, la guerra. Specialmente del primo si parla poco nei libri (anche nel mondo reale, ma questa è un’altra storia…). Una volta tenevo una rubrica su letteratura e ambiente su Finzioni Magazine: dopo qualche uscita ho iniziato a fare molta fatica, perché non trovavo più romanzi che parlassero di crisi ambientale, di erosione degli ecosistemi, di estinzioni di massa. Perché se ne parla poco? Perché non sono ancora stati scritti grandi romanzi su questi temi? Tu che ne pensi? Io ho passato cinque anni in Greenpeace e ho studiato Biologia dell’Ambiente proprio per questo. Perché mi sembrano temi importantissimi, specialmente oggi.

Tomas
Questa è la bella copertina del romanzo di Andrea Appetito, Tomàs, che vi consiglio caldamente di leggere (pubblicato da Effigie Edizioni).

Che la letteratura sia il regno della domanda, è una cosa che trovo giusta. Oltre che bellissima. È difficile per me spiegare perché ho usato l’aggettivo “giusta”, ma sento che è così, sento che le domande, soprattutto le domande “pesanti” sono giuste e necessarie. Essere scrittori o scrittrici per me vuol dire essere nomadi, nomadi di uno spazio immenso. La pagina bianca. Nella pagina bianca può avvenire l’incontro più temibile. L’incontro con noi stessi. Si può vivere senza questo incontro? Forse si parla poco di ambiente perché ci allontaniamo sempre di più dalle nostre paure e dai nostri desideri. Da ciò che siamo. Preferiamo una vita confortevole. Dovremmo reimparare dagli animali a fiutare. Stare con gli occhi aperti su qualcosa di inafferrabile. Questo per me vuol dire fiutare. Un’azione che ha a che vedere (sempre) con un orizzonte. Berger ha scritto un libro che ha come protagonista un cane. Berger sapeva raccontare i punti di vista più diversi. Sapeva viaggiare da un mondo all’altro. Sapeva essere. Ci saranno di nuovo scrittrici e scrittori grandi che sapranno raccontare l’ambiente e con le loro parole ridare vita e dignità a ciò che si sta estinguendo. Ora abbiamo bisogno di un fuoco attorno a cui ritrovarci. Questo fuoco può essere la parola condivisa. Qualcosa che sia in grado di scaldarci davvero. Dopo saremo di nuovo capaci di fiutare l’orizzonte.

Ho già scritto molto, non vado oltre. Ti passo la palla! Non sei obbligato a rispondere alle domande, scrivi quello che ti senti di scrivere, scrivi quello che pensi. Ho notato che ti piace la musica. Che musica ti piace? Io sono onnivoro, musicalmente parlando.

Grazie per la possibilità di scriverci, di dialogare. Ti stimo molto, Danilo. Grazie per la libertà che mi hai dato nelle risposte e grazie per le cose bellissime dette dagli autori che hai citato. Mentre ti scrivevo e anche ora suona Metamorphosis di Philip Glass (se volete ascoltare, ecco qui il link). A presto, Danilo.

Un caro saluto e grazie di aver accettato il mio invito!

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